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Il Giovane Ethos – Capitoli 2 e 3

È di nuovo venerdì. E, che vi piaccia o no, è l’ora di un nuovo “pezzo” di Ethos. QUI potete leggere i capitoli precedenti. Per i prossimi vi tocca aspettare un’altra settimana.

2 – TUTTO IN FUMO

Quella festa fu la più sciagurata della tua vita. Non solo perché iniziò la tua dipendenza da super alcolici. Ma quella fu anche la fine della tua carriera da Scroccone. Senza la lucidità e il garbo da imbucato discreto e inosservato, non riuscisti più a entrare di soppiatto nei party. Che fare, allora, per mettere insieme il pranzo con la cena? Tanto più che, ora, spendevi il denaro dell’affitto in bottiglie di vodka e affini?

Conoscendo bene la tua città, spinto un po’ dal bisogno e un po’ dai fumi dell’alcool, decidesti di spingerti nei quartieri più malfamati. Lì dove mamme e nonne raccomandano ai figli di non andare. Lì dove chi ha un disperato bisogno di soldi può trovare la soluzione ai propri problemi. A patto di crearsene altri, anche parecchio più grossi.

Poche ore dopo esserti infilato nelle zone malfamate, ne uscivi già con un lavoretto part time da piccolo spacciatore. Un’efficienza da fare invidia a qualsiasi ente di reclutamento.

Il tuo compito era semplice: prima dell’alba passavi dai grossisti del Parco a riempire la fodera della giacca di erba. Poi, nel corso della mattinata, la rivendevi ai ragazzini dei licei. Stando attento alle retate dei poliziotti con i cani antidroga.

Quando si intraprendono attività imprenditoriali di questo tipo, la regola d’oro per non avere guai è quella di non toccare la merce. Tu, però, sembravi di non aver letto la guida del buon spacciatore E così non passò molto che iniziasti a farti anche di canne. Quelle stesse che avresti dovuto vendere.

4

Nonostante gli effetti del bere e del fumare, la tua testa funzionava ancora relativamente bene, per cui trovasti degli efficaci escamotage per giustificare gli ammanchi. Macinavi zenzero e rosmarino e li mischiavi con l’erba per aumentarne il volume. Poi, quando gli aromi da cucina divennero troppo costosi per via della stagione e dell’inflazioni, li sostituisti con erbacce di campo che raccoglievi personalmente.

I ragazzini, che si sballavano più per auto convinzione che per gli effettivi effetti dell’erba, non si accorgevano di nulla. Ma i ripetenti della quinta, ben oltre la soglia dei vent’anni e delle dieci denunce, odorarono – è il caso di dirlo – l’imbroglio.

Tu non te ne preoccupavi troppo, naturalmente: non appena vedevi che qualcuno storceva il naso, misteriosamente la mattina dopo riceveva la visita, a casa oppure a scuola, della polizia e dei loro cani.

Un giorno però, uno dei tuoi clienti truffati, decise di andare direttamente dal tuo boss di zona, che era un lontano zio di una ex, e lo informò della tua condotta.

Il boss del tuo territorio era un tale Alfonso Mangolini, discendente dei Duchi di Valle d’Aosta. Per il suo vecchio retaggio nobiliare lo chiamavano appunto “Il Duca”. Ma del sangue blu degli avi era rimasto ben poco. Egli aveva spacciato per anni nell’Istituto di Via Adige, nelle vesti di studente. Poi, a seguito di un’interrogazione di geografia astronomica andata peggio del solito, picchiò un professore e fu espulso. Ora gestiva i traffici illegali di Torino sud.

Mangolini – o Il Duca, se preferisci – diede ordine a Giorgetto di venire a darti una lezione. Giorgetto, ex pugile a riposo dopo 444 incontri, era il tirapiedi del Duca per questioni simili.

Tu, dopo l’ennesima giornata di spaccio e l’ancora ennesima serata di ubriacature e fumo, dormivi disteso su una panchina del lungopo. Mentre sognavi rumorosamente un rapporto molto intimo con una studentessa di biologia che frequentavi mesi addietro, la tua fantasia venne interrotta da una voce autoritaria.

«Ethos! Svegliati! Sveglia… per carità, figlio di…»

Tu ti svegliasti di soprassalto, visto che ormai avevi imparato a dormire con un occhio solo anche da ubriaco.

«Che vuoi? Giorgetto? Oh, cavolo… Il boss ha scoperto che spaccio biada ai ragazzini?»

«Sì. Sono qui per darti una lezione, infatti! Però io…»

«No! No! Io sono un benemerito! – facesti tu non lasciandogli il tempo di finire la frase – Salvo i bambini dalla dipendenza di erba! Certo, forse diventeranno troppo amanti del rosmarino e della citronella… ma avete mai visto una zanzara avvicinarsi a loro? Una sola, dannata zanzara?»

Giorgetto ti guardava perplesso, mentre berciavi stralunato illuminato dai lampioni gialli. Per farti tacere, fu costretto ad assestarti uno schiaffone sulla guancia.

«Taci, imbecille! – fece – non voglio picchiarti! Non più di così, almeno… Sempre che tu la smetta di parlare!»

Giorgetto spiegò la situazione: egli non era davvero un ex pugile colluso con la malavita locale, bensì un agente sotto copertura che indagava sui traffici del Duca. E, ogni qualvolta quest’ultimo gli affidava il compito di far sparire qualcuno, non lo ammazzava ma gli consigliava di sparire. Così era riuscito a salvare parecchi spacciatorelli poco onesti e a far credere al boss che essi fossero finiti tutti a guardar crescere i fiori dalla parte delle radici.

Ringraziato Giorgetto, mettesti le gambe in spalla per affrontare il viaggio che ti avrebbe condotto via dalla tua città. Naturalmente, un goccio avrebbe reso tutto meno doloroso.

Due ore dopo eri su un’altra panchina a dormire ubriaco.

3 – UN LAPSUS

La mattina dopo ti svegliasti per l’ennesima volta nel Parco. Ormai era aprile inoltrato, per cui faceva meno freddo del solito. Le idee ti si affollavano nella mente. Vodka e canne dovevano averti scombussolato la testa, ieri sera. Ricordavi che avresti dovuto fare qualcosa di importante, ma per quanto ti sforzassi non ricordavi proprio.

«Mi verrà in mente durante il giorno» pensasti.

La tua giornata iniziò con le solite attività. Le prime ore del mattino erano dedicate alla raccolta di margherite e foglie di eucalipto, che poi avresti messo a seccare per diluire l’erba delle canne. Poi ti dirigevi a fare il giro delle scuole per smerciare la roba.

In una città estesa e affollata come Torino è difficile incontrare per strada dei conoscenti, ma neppure impossibile. Così, fato volle che, uscendo da un liceo artistico del centro, incrociasti il Duca accompagnato da Giorgetto e da un altro paio di tirapiedi.

«Buongiorno boss! Ha visto che bella giornata? – facesti al capo – E ciao anche a te, Giorgetto! Grazie per non avermi picchiato, ieri.»

Giorgetto e il Duca spalancarono entrambi gli occhi, sia pure per motivi differenti.

«Non dev’essere facile fare sempre l’agente sottocoperta… Ah! Ho detto sottocoperta anziché sottocopertura! Avete sentito che rapporto?» facevi ridendo sguaiatamente.

Il Duca si avventò su Giorgetto come una furia, e i tirapiedi iniziarono a picchiarli. Tu assistevi impassibile alla scena, almeno finché la tua mente fece 2+2 e capì che non avresti dovuto essere lì a dire quelle cose.

«Ah! Ops… io devo andare!» bisbigliasti.

«Idiota! Imbecille! Testa di…» urlava Giorgetto sotto i pugni del Duca e dei suoi sgherri, mentre tu correvi via a perdifiato.

Ormai non avevi scelta: o fuggire da Torino, o restare ad aspettare di fare la stessa fine del povero Giorgetto. Dovevi andare via, e in fretta. Naturalmente gli scagnozzi del boss ti avrebbero aspettato a casa, per cui decidesti di salire sul primo pullman diretto fuori città.

Infilasti le mani in tasca, per controllare se possedevi abbastanza denaro per il biglietto. Nulla: solo poche monete tintinnavano nel tuo borsellino. Ma avevi troppa fretta per formalizzarti su questo. Salito sull’autobus, ti sedesti sperando che l’autista fosse il più lesto possibile a trascinarti fuori da quella città maledetta.

Dopo poche fermate salì un controllore. Sudavi freddo. Non avevi denaro, né documenti. Così, non appena si avvicinò a te per chiederti di visionare il biglietto, scappasti come un fulmine dal pullman.

Corresti per lunghi minuti, fino ad aver consumato ogni molecola di aria presente nei tuoi polmoni affumicati.

«Andiamo male – pensavi – avrò percorso solo qualche chilometro.»

Proseguendo a piedi, a passo svelto, ti trascinasti fino in un’area boschiva vicino alla zona industriale. Abbastanza al riparo per non essere scorto e per mettere insieme le idee.

6

Eri distrutto fisicamente, e avevi sulla coscienza le ossa e i denti di quell’uomo che aveva cercato di salvarti. Ti sentivi un verme, pensavi di farla finita. Ma poi ti ricordasti di tutto quello che eri prima. Dei fumetti, del tuo blog sui rasoi da barba, della tua attrazione per le api.

E così, in quella squallida boscaglia, dopo settimane di disillusione, alcool e droga, ritornavi finalmente a sognare. Con la mente una volta tanto lucida e non annebbiata dalla vodka, dai cocktail e dalle canne, ti rendevi conto che stava iniziando il tuo percorso di redenzione.

Ma dal caldo abbraccio dell’immaginazione venisti immediatamente strappato dalla fredda mano della realtà. Non avevi nulla, chi ti conosceva prima ora ti considerava un rifiuto della società, un reietto. Avevi fame e sete, non possedevi soldi né vestiti puliti. Senza contare che la malavita torinese ti stava dando la caccia.

Per un momento pensasti di rivolgerti alla polizia. Impossibile, eri uno spacciatore e nel sangue avevi tanto di quell’alcool e di quella droga che ti avrebbero sbattuto dentro senza credere a una sola delle tue parole. O, peggio, ti avrebbero buttato fuori, in balia di quel criminale che una volta chiamavi capo.

Del resto non avevi nemmeno documenti, o altro che potesse dimostrare la tua identità. Avevi smesso di esistere, eppure in tanti volevano la tua morte.

Ma valeva la pena faticare tanto per difenderla, quella vita? Per un momento pensasti di consegnarti ai criminali, compiendo il tuo destino. La redenzione infatti avrebbe conosciuto spesso attimi di incertezza, disperazione, stanchezza e smarrimento,

Si stava facendo buio, dopo che eri stato seduto per ore su un umido tronco marcescente a fissare il nulla. Tu eri rimasto immobile, ma la tua mente aveva viaggiato molto. Avevi conosciuto la speranza e la frustrazione, pensato alla riscossa e alla resa, immaginato mille scenari diversi di quello che avresti fatto.

Alla fine, mentre calavano le ombre della sera, decidesti cosa fare: a malincuore, avresti dovuto abbandonare Torino. Era una scelta che ti lacerava. Avresti dovuto salutare la città che ti aveva fatto nascere e fatto emergere dall’oscurità del nulla, ma che poi ti aveva portato anche sul bordo del baratro.

E ti ci aveva spinto dentro.

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