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Il Giovane Ethos – Capitoli 6 e 7

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Come ogni venerdì è il momento di vedere cosa combina il nostro Ethos. Lo avevamo lasciato in preda al dolore fisico e psicologico, mentre fuggiva da Carrara e cercava un luogo dove poter ricominciare. Il Nostro giunge ora nella penisola di Orbetello: sarà la terra della rinascita o lo accoglierà con nuove insidie?

Qui le parti precedenti:
Premessa e capitoli 0 e 1
Capitoli 2 e 3
Capitoli 4 e 5

6 – UNO STRANO INCONTRO

I giorni successivi furono infernali. Avevi paura che qualcuno potesse averti riconosciuto a Carrara e che la polizia ti stesse cercando per l’incendio doloso alla macchina. Tra i titoli di un giornale di provincia, appesi sulla parete esterna di un’edicola, leggevi:

Incendio nelle vie del centro, la polizia conferma la matrice dolosa

Con fatica, visto che da mesi che non prendevi in mano un periodico, apprendesti che le forze dell’ordine stavano visionando i filmati di sorveglianza del supermercato. E che, secondo gli inquirenti, l’autore del reato era un ubriaco violento e senza fissa dimora.

Sentivi il fiato della giustizia sul collo, e non facesti altro che pedalare. Ti piaceva una volta, ma adesso ne avevi bisogno. Raggiungesti il mare e da lì proseguisti verso sud. Non sapevi verso dove ti stavi dirigendo, e nemmeno ti importava. Dormivi accanto al risciò, che nel frattempo avevi dipinto di grigioperla sfruttando alcune rimanenze di vernice abbandonate in un cantiere edile. Mangiavi rubacchiando verdure dai campi che attraversavi. Dopo alcuni di piccole tappe e giri arzigogolati, vedesti i campi coltivati lasciare spazio ai camping per turisti, e la costa allontanarsi andando a formare una penisola. Un cartello stradale un poco arrugginito suggeriva il nome della località: Orbetello.

Dopo la primavera, Orbetello iniziava a montare le strutture che avrebbero ospitato fiumi di turisti per i lunghi e caldi mesi che sarebbero succeduti. Sotto quel cielo che martellava col il suo solleone arrivasti tu sul risciò rubato a Carrara. Quello con cui avevi percorso centinaia di chilometri sopravvivendo di espedienti. Eri ricaduto più volte nella trappola dell’alcool, scolando cartoni di vino sintetico da pochi centesimi il litro, ma nei momenti di lucidità eri riuscito a ragionare sulla tua fuga.

In quella località turistica avresti potuto trovare un lavoro stagionale, guadagnare qualche soldo – onestamente, una volta tanto – e magari dormire in un letto vero. Non sarebbe stato facile, naturalmente. I mesi trascorsi all’addiaccio ti avevano trasformato in un orso scorbutico e solitario. Del resto, del proverbiale plantigrado avevi assunto anche il persistente odore. E dire che, solo pochi mesi addietro, eri lo Scroccone delle feste per eccellenza, e spesso eri il più elegante dei party ai quali ti auto invitavi.

Ricordando ciò passeggiavi sul lungomare nella zona più ricca della penisola. Avranno pur avuto bisogno di qualcuno per spostare lettini oppure ombrelloni, pensavi. Il posto, del resto, ti piaceva, per cui decidesti in un batter d’occhio che non avresti viaggiato ancora.

«Stupido accrocco! Non ho più bisogno di te!» urlasti nervoso rivolto al risciò che ti aveva condotto fin lì.

Pedalasti fino a un tratto di banchina dove non c’erano balaustre a separare il marciapiede dal mare. Poi, sceso dal mezzo, lo spingesti in acqua.

«Affoga! Affoga… maledetto! No… No… Ho dimenticato le mie cose legate al tettino! I vestiti! Il da mangiare!»

Le quiete acque del Tirreno avevano inghiottito il risciò con tutto quello che trasportava. Tu rimanesti lì, per lunghi minuti, a maledire ogni cosa. I passanti ti tiravano occhiatacce, ma tu rispondevi lanciando loro cartacce e lattine, e insultando gravemente le mamme con i bambini.

Addosso avevi solo gli abiti intrisi di sporco il tuo solito lercio straccio.  Ti piazzasti ancora una volta a un semaforo per cercare di pulire qualche vetro. Le automobili ti evitavano e ti suonavano con i clacson. Ma alla fine rimediasti comunque qualche moneta da un tale che, insieme a quei due o tre euro, ti spedì una montagna di maledizioni.

A un certo punto, dietro il vetro dell’ennesima automobile intravedesti un volto che ti pareva familiare: era quello di un misconosciuto youtuber, noto per le recensioni di rasoi da barba e da corpo, del quale una volta eri un fan sfegatato. Lui, noto agli appassionati come JackSex88, ti guardava con disapprovazione. Come se avesse saputo chi eri ora e chi fosti una volta. Erano lontani i tempi in cui compravi ognuno dei rasoi da lui consigliati, sperperando paghette e mance.

Ora lunghi e disordinati fili di barba infestavano il tuo volto, scavato da precoci rughe e occhiaie profonde.

Lo youtuber, sceso dalla sua modesta utilitaria acquistata con i magri guadagni del suo canale, ti si pose davanti e alzò una mano verso di te. Tu ormai eri inselvatichito, e subito ti ritirasti indietro in segno di difesa. Ma lui, senza scomporsi, mosse ancora mansuetamente la mano e ti accarezzò l’ispido e unto volto. Per un momento sentisti il calore di un tempo passato. Quando il tuo fegato non era ancora distrutto insieme al tuo morale e alla tua coscienza, e sul tuo volto sbarbato era disegnato uno spensierato sorriso.

JackSex88, al secolo Giacomino Sentinello, era un ragazzone dalla corporatura tutt’altro che snella ma dai lineamenti delicati e aristocratici. Sul suo volto cresceva una barbetta maniacalmente curata, che sembrava correre su quelle grasse guance fino a sparire dietro le orecchie a confondersi tra i capelli. Sentinello, un tempo, era operaio nell’azienda di famiglia che produceva rasoi per il corpo. Poi l’attività era andata a gambe all’aria per via di certi investimenti sbagliati nel campo della fibra di vetro e del peltro.

Rimasto disoccupato, Sentinello prese il nome d’arte JackSex88 e aprì un canale YouTube per parlare ancora de suo grande amore: i rasoi da barba.

Tu, Ethos, eri stato uno dei suoi primi fan. Numerose volte, ancora minorenne e sbarbatello, gli avevi indirizzato generose donazioni. I tuoi genitori furono costretti a prendere provvedimenti, sequestrandoti il personal computer. Privo della tua grande passione, fosti costretto a dedicarti a cose che non amavi come lo studio e i giornaletti pornografici forniti in gran numero dal tuo vicino di casa.

Ora, senza aspettartelo minimamente, lo incontravi di nuovo, in quella penisola d’Orbetello. Eri attratto da lui, e ti sentivi mortificato per avere smesso, anni prima, di indirizzargli le donazioni economiche.

7 – PENE SULLA PENISOLA

Il sole di inizio estate ti batteva sulle tempie. Non avevi più nulla, ancora una volta, perché quel poco che avevi accumulato era finito sul fondo del mare. Quindi, non esitasti più di tanto quando Sentinello ti invitò a salire sulla sua sgangherata utilitaria.

Tu non eri del tutto convinto, ma alla fine montasti sull’auto. Lo youtuber dallo scarso successo guidò placidamente senza proferire parola. Dalla radio provenivano podcast del suo stesso programma, che egli ascolta continuamente per appagare la propria vocazione egocentrica e narcisista. Dopo alcuni minuti di strada costiera giungeste dinanzi a un palazzo a picco sul mare, dove il silenzioso cineasta ti invitò a salire.

Superata una angusta scala a chiocciola e uno stretto corridoio, entraste in un portone. Da lì accedeste nella casa JackSex. L’appartamento si estendeva per decine e decine di metri quadrati, ed era formato unicamente da un solo enorme spazio adibito tutto a toilette. Centinaia di rasoi e macchine da barba erano accumulati ovunque. Tu ne riconoscevi molti, presentate anni prima nei suoi video informativi.

Finalmente lo scadente videomaker proferì alcune parole. Con voce suadente ti invitò a spogliarti e a sdraiarti nella vasca da bagno, piena di acqua calda e fumante. Avresti voluto parlare, esprimere dei dubbi e fargli delle domande. Ma le candele profumate e i Sali da bagno che si sprigionavano nell’aria ti avevano inebriato la mente. Come privo di volontà gettasti a terra le vesti sporche e lacere, e lasciasti che le mani del misconosciuto abitante del web sfregassero la tua pelle. Egli ti lavò con saponi di forma fallica e ti rasò ogni pelo presente sul tuo corpo, a eccezione dei tuoi copiosi capelli e delle sopracciglia. Dopodiché ti offrì una vestaglia di flanella con cui asciugarti.

«Mi sei grato?» fece Sentinello.

Tu annuisti con la testa.

«Allora forse puoi ricambiare aiutandomi. Vedi, fratello, io ho un problema. Vedi questa grande casa, tutta adibita a un grande gabinetto? Bene, a me piace, e sono sicuro che piaccia anche a te. Ma della gente cattiva vorrebbe togliermela… anzi: togliercela! Ora anche tu vivi qui… Gente che vuole soldi per l’affitto, che io non possiedo. Figurati! Io sono un artista, non pretenderanno che mi metta a cogliere zucche nei campi… Ma tu puoi aiutarmi!»

Tu, sconcertato ma troppo stordito per capire esattamente cosa egli volesse, annuisti ancora.

«Aiutami a pagare l’affitto, piccolo amico, così che io possa comperare altre macchinette da barba e rendere questo mondo un posto migliore!» fece ancora.

La sera stessa, lo strano cineasta ti accompagnò con la sua vecchia automobile in una via poco distante, e da lì scendeste in un seminterrato. Poi ti salutò affettuosamente, e a mezzanotte inoltrata tornò a prenderti. Tornati a casa, Sentinello ti accarezzò di nuovo, ti sistemò la vestaglia di flanella, ora sgualcita e macchiata, ed estrasse una mazzetta di banconote che erano state riposte al suo interno.

«Hai fatto un buon lavoro – disse – ora andiamo a comprare qualche macchinetta da barba. Ah, certo, anche qualche verdura da farti mangiare».

A notte fonda, JackSex ti servì un piatto di ceramica viola con alcuni panini imbottiti di verza cruda. Il sapore non ti piaceva, ma eri affamato e li ingurgitasti come fosse un pasto da re. Non avevi idea di cosa fosse successo nelle ore precedenti, ma ti sentivi dolorante. Terminata la frugale cena, ti buttasti sul materassino che lo scadente videomaker aveva approntato per te, senza la forza di far lui delle domande.

In quella penisola le settimane passavano lente, tra bagni profumati e lunghi monologhi di Sentinello relativi al mondo dei rasoi e della schiuma da barba. Una volta ogni quattro giorni, poi, lo youtuber ti portava nel misterioso scantinato, da cui ore dopo uscivi dolorante e smemorato. In alcuni rari moneti di lucidità ti chiedevi se non fosse il caso di affrontare il tuo vecchio idolo. Ma non ne avevi la forza, né il cuore. In fondo, egli ti ospitava da tempo nella sua abitazione e ti sfamava, dandoti quel tetto che da mesi andavi ormai cercando.

La vita con il tuo misterioso amico era regolata da routine immodificabili, ma insieme imprevedibili. Lui dormiva in una vasca da bagno piena di gommapiuma, nella quale svolgeva le sue attività quotidiane. Leggeva riviste per barbieri, prendeva appunti con una scrittura incomprensibile e contava avidamente il denaro che estraeva dal tuo bavero dopo averti riportato a casa.

Un giorno, dopo l’ennesima serata trascorsa in un sottoscala, il maniaco youtuber tardò a venirti a prendere. La sua automobile, priva di revisione e assicurazione, rifiutava infatti di partire. Era ormai settembre inoltrato. La penisola si era di botto spopolata con la fine delle vacanze, e anche il tempo atmosferico cominciava a far intravedere barlumi d’autunno. Quella notte, in particolare, nubi pesanti e minacciose incombevano sulla località.

Senza orientamento e volontà, vagavi scalzo per il porto. Sopra la tua testa i cumulonembi si addensavano e danzavano in un tripudio di saette e fulmini. A un tratto catini di acqua gelida iniziarono a riversarsi sulla terra. Camminasti per ore senza meta, mentre piove a fiotti, coperto solo di quella elegante ma sporca vestaglia piena di banconote.

Col passare della notte e con lo scorrere dell’acqua sui tuoi tessuti, iniziò a svanire l’effetto delle droghe che il malvagio youtuber ti aveva fatto inalare per settimane. Lentamente prendevi coscienza della cruda realtà. Egli – ragionavi – ti aveva fatto prostituire presso suoi colleghi e amici col solo scopo di pagare l’affitto ed evitare la ricerca di un lavoro manuale

«Maledetto! Cafone! Profittatore!» imprecavi mentre ti rendevi conto di quanto stavi passando per causa di colui che credevi il tuo salvatore e idolo.

Ormai eri lucido e consapevole di tutto quel malvagio disegno da lui orchestrato, quando sentisti il rumore borbottante della sua modesta utilitaria, e vedesti la luce dei suoi fari.

Egli era giunto per prenderti e riportanti a casa, naturalmente insieme al denaro che in modo così sporco avevi guadagnato. Il non giovanissimo cineasta ti raggiunse sulla caletta del porto dove ti eri rifugiato.

«Avvicinati, fratellino – fece con i soliti modi affettuosi – lascia che ti prenda per mano e ti riporti a casa.»

JackSex stava infilandoti la mano nel bavero al fine di estrarre i soldi, come consuetudine. Ma tu, finalmente consapevole, lo spintonasti facendolo cadere nelle tumultuose acqua in tempesta.

Mentre egli si dimenava tra i flutti, tu salisti sulla sua vecchia automobile per scappare via da quell’inferno.

«Maledizione! Come si conduce questa trappola meccanica!» imprecavi pentendoti di non aver mai imparato a guidare.

La tua mente era satura di rabbia. Se per mesi la tua preoccupazione principale era stata quella di salvarti e sopravvivere, ora avevi solo uno scopo: vendicarti di quell’individuo tanto subdolo.

Non avevi mai imparato a guidare, vero, ma fosti comunque capace di levare il freno a mano all’auto del tuo ormai ex idolo. La vettura, priva del blocco, camminò pigramente verso la banchina, poi si tuffò nelle onde del Tirreno, andando a fare compagnia al suo padrone.

Scalzo e battuto dalla pioggia incessante, riuscisti a trovare la strada per la casa-toilette. Entrasti spaccando un vetro della guardiola, ferendoti le piante dei piedi con le schegge. Poi, una volta giunto nel grande gabinetto, iniziasti a raccogliere ogni oggetto presente nell’appartamento e a gettarlo dalla finestra.

Rasoi, lamette, macchinette da barba. Tutto finiva inghiottito dal mare su cui la casa si affacciava a picco. Poi fu il turno di vestiario, suppellettili, seggiole e qualsiasi cosa potesse essere da te sollevata.

Stavi gettando in mare dei grossi album di fotografie d’infanzia quando, d’improvviso, sentisti di nuovo la voce del tuo aguzzino. Non era più rassicurante come quella dei video che anni prima ascoltavi, né suadente e affettuosa come quella che ti rivolgeva nel corso dell’estate.

«Ti credevo un fratello – urlò con voce quasi disumana – invece sei un traditore! Invece sei un ingrato!»

Fradicio dell’acqua salmastra e inquinata del porto, furioso per la devastazione che gli hai procurato, Sentinello ti avventò contro. Tu riuscisti a schivarlo, più per fortuna che per prontezza di riflessi. Egli pesava almeno il doppio di te. Ma, per fortuna, i vapori che aveva inalato nel corso della sua vita lo avevano reso flemmatico e lento nei movimenti. Così tu, che pure eri bruciato dagli stravizi e dalle privazioni, riuscivi a proteggerti dai suoi attacchi.

Indietreggiasti fino al balcone, palco privilegiato su una platea fatta di onde impetuose e mare in burrasca. Lui ti si avventò contro ancora una volta, urlandoti contro di seguire il suo canale, per sempre. Tu ti accucciasti in posizione fetale riparandoti dalla sua furia. Egli fu lì per cadere dalla balaustra. Per un attimo festi indeciso se salvarlo.

«Tirami su, piccolo amico! Insieme recensiremo le migliori macchine da barba e avremo il volto sempre liscio! IO SONO IL TUO EROE! DEVI SALVARMI!»

Tu gli prendesti la mano, per un istante. Poi lo lasciasti cadere definitivamente.

Il grasso corpo del tuo maligno protettore cadde come un sasso tra le onde furiose. I suoi urli di maledizione divennero sempre più flebili, fino a scomparire definitivamente. Il silenzio tornò a regnare nella casa-toilette, ormai disadorna di ogni suppellettile.

A eccezione, naturalmente, della riserva di denaro che il turpe videomaker aveva accumulato sulla tua pelle.

Au revoir! A venerdì prossimo!

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